Il profumo di makkale’
di Sergio Adamoli
Sergio Adamoli
Nel febbraio 2018 Diego ed io ci trovavamo in Makallè per svolgere la missione didattica che Medici in Africa ci aveva affidato: un corso di formazione su patologie africane avvalendosi principalmente delle strutture sanitarie e universitarie etiopi. La missione ha potuto essere svolta con pieno successo grazie alla professionalità e alla grande disponibilità dei nostri colleghi locali.
Il lavoro ci occupava per gran parte della giornata e potevamo dedicare ben poco tempo ad appagare la curiosità che il luogo ci destava.
La città di Makallè nell’immaginario di noi italiani è indissolubilmente legata alla disastrosa guerra d’Abissinia del 1895-6 che vide proprio nella sua fortezza uno degli episodi chiave. Però passeggiando per Makallè non si percepiva nulla che fosse minimamente legato con questi foschi precedenti. La città ci apparve piacevole e i suoi abitanti cordiali e accoglienti, inoltre non era ammorbata dal caratteristico odore bellico di polvera da sparo ma bensì su di essa aleggiava un sottile e soave aroma, molto piacevole, che non tardai a riconoscere come quello del caffè.
L’Etiopia è la patria del caffè, almeno questa è l’ipotesi più accreditata. Narra una leggenda che nel VI secolo un pastorello, di nome Kaldi, che viveva nella regione di Caffa (questa è probabilmente l’origine del nome) notò che le sue capre a volte si agitavano fuori misura, una versione parla addirittura di danze delle capre. Kaldi doveva essere un ragazzotto ben vivace e curioso perché non si limitò ad osservare il fenomeno, accogliendolo con una scrollata di spalle, ma volle andarci a fondo. Pertanto si mise pazientemente a sorvegliare le capre e così si dette conto che l’agitazione compariva quando mangiavano le bacche di un certo arbusto. Kaldi rigirò perplesso nelle mani queste bacche ed alla fine risolse di chiedere consiglio ai monaci del monastero che si trovava nelle vicinanze. Il monaco consultato, inorridito dal racconto degli effetti della bacche, gettò nel fuoco questo “frutto del demonio” …. ma ecco che dal seme abbrustolino delle bacche sprigionò un aroma intenso e gradevole che fece accorrere tutti gli altri monaci. Questi affascinati dal profumo decisero, demonio o non demonio, di macinare i semi abbrustoliti per trarne un infuso e così sorseggiarono il primo caffè del mondo. Oggi Kaldi è la marca di un caffè in vendita in Etiopia (100% arabica, naturalmente) ed è anche il nome di una caffetteria di Lecce, rinomata per offrire caffè dalle più impensate provenienze.
Il caffè non ebbe vita facile, bollato di satanismo per secoli fu proibito in Etiopia e tardò ad affermarsi tra gli arabi di cui però divenne una bevanda molto usata. In Europa entrò, tramite i commerci di Venezia, solo nel XVII ma fu immediatamente proibito in quanto bevanda mussulmana. Curiosamente papa Clemente VIII, che non vacillò nel mandare al rogo Giordano Bruno, fu più “clemente” col caffè cui concesse l’assoluzione da ogni peccato e fu così che nel 1645 appare a Venezia la prima caffetteria.
In Etiopia prendere il caffè è un rito. Durante la missione in Makallè nel corso di una passeggiata fummo sorpresi dalla pioggia e riparammo in un bugigattolo, che si dimostrò essere una caffetteria. Alla signora che la gestiva chiedemmo allora un caffè e ci trovammo immersi in una vera e propria cerimonia. Per prima cosa lei bruciò una resina in un fornelletto, mi parve incenso, come per purificare l’ambiente. Quindi pose i chicchi di caffè in un strano padellino perforato e li tostò sulla brace, agitandolo lentamente e costantemente e mostrandocelo ogni tanto per farci apprezzare l’aroma. Avvenuta la tostatura pose i grani in una specie di mortaietto cilindrico di metallo per polverizzarli. La polvere con l’acqua venne posta in una caratteristica caffettiera di coccio con il collo molto lungo e la nostra “barista” la portò per tre volte ad ebollizione sulla brace, schiumando la superficie. Finalmente ci porse la tazzina con la bevanda ben zuccherata (fig.1).
La signora non era affatto un’originale: la stessa operazione veniva effettuata ogni qualvolta chiedevamo una caffè nelle caffetterie tradizionali.
Vi chiederete: nei nostri bar in quattro e quattr’otto ci servono un ottimo caffè e allora perché perdere tutto questo tempo? Ebbene ne vale la pena. Quello assaporato in quei bugigattoli è in assoluto il miglior caffè che abbia mai bevuto in tutta la mia vita.